Omaggio della Facoltà al neo Cardinale

Qui di seguito proponiamo la lettera redatta dal Preside per il Gran Cancelliere 

 Eminenza Reverendissima.

La comunità accademica della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia ha gioito all’annunzio che S.S. Benedetto XVI, faceva della sua inclusione nel Collegio dei Cardinali. Abbiamo tutti accompagnato con l’affetto, che lei ben conosce, i solenni riti con cui veniva elevato a quella dignità e in particolar modo ci siamo anche stretti nella preghiera per manifestare il ringraziamento e impetrare il favore di quelle grazie speciali con cui il Divino Maestro e Signore non mancherà di adornare il suo episcopato, ora che esso viene così intimamente congiunto al ministero petrino.
Ci è gradito poterle esprimere coralmente e di persona il nostro augurio, variamente anticipato in altre circostanze. L’occasione della condivisione insieme a lei di questo momento di preghiera in attesa della grande festa della Natività, significato nella celebrazione dei Vespri, con i quali esprimiamo la nostra vigilanza nell’attesa del giorno in cui verrà il Signore, ci consente di estenderle un dono a ricordo di questo altro esigente passo, che, citando una delle sue riflessioni dopo l’annunzio del cardinalato, il Signore le chiede di muovere nel suo cammino di sequela, che inevitabilmente conduce insieme a lui alla Croce.
In un suo libro di tanti anni fa, noto con il titolo di Introduzione al Cristianesimo, Joseph Ratzinger parlava del mistero dell’Incarnazione di Dio, come dell’ «autorestrizione di Dio ad un unico punto della storia». Quell’unico punto della storia potrebbe coincidere con il grembo di Maria, con la culla di Betlemme, con la casa di Nazareth, con la sua intimità coi Dodici, con la sua cittadinanza nella terra d’Israele, con il cenacolo. Ma tutti e ciascuno di questi si riassumono nella Croce, nella cui intersecazione geometrica, simbolicamente, si compendia e conclude il mistero dell’incontro tra storia ed eternità, che poi è il mistero dell’unità e dell’unicità di Cristo.
Dio, scriveva il teologo divenuto pontefice della Chiesa di Roma, si è talmente avvicinato a noi da permetterci perfino di ucciderlo. Intendendo così il rischio di rifiutare e perciò di eliminare un Dio reale, rispetto alla benpensante e tollerante coltivazione puramente mentale dell’idea astratta di un Dio lontano. Abbracciando la Croce, il vero uomo Gesù restringe il vero Dio in un unico punto della storia. In quel punto d’incontro si consuma il paradosso della fede cristiana e il senso stesso della sua esigente testimonianza, usque ad effusionem sanguinis.
Se la croce doveva servire a escludere un increscioso Dio fatto uomo dalla nostra prossimità, in realtà con la fede nel Crocifisso, anche il credente abbraccia in essa, cioè in un sol punto della storia, quell’amore incondizionato, che restringe Dio nel suo scandalo e nella sua stoltezza. Il fatto che Egli si sia avvicinato a noi ha di fatto reso maggiormente difficile la fede che non pensarlo ad una distanza infinita. Sta qui il cruccio della ragionevolezza della fede, del pensiero della fede, che nel cuore di questa Istituzione Teologica viene pensato ed elaborato. Il fidei pondus, cioè l’onere di rendere ragione della fede trova la sua giusta misura nel pondus crucis, poiché come nella croce, anche nella fede e nel suo pensiero Dio continua a consegnarsi nelle nostre mani. L’autorestrizione di Dio è sperimentata nella fatica della riflessione teologica come il peso di questa consegna salvifica.
 Per questo motivo abbiamo voluto presentarle in dono una croce. Di consueto un dono riflette il punto di incontro simbolico tra gli interessi delle parti che lo scambiano. La vigilanza esercitata dal pastore in nome di quella radice apostolica del ministero che egli esercita è un servizio reso anche alla dimensione profetica della Chiesa che nella teologia trova una espressione privilegiata. La sua ansia pastorale raccoglie in un unico abbraccio un peso la cui misura, determinata dalla croce, è quello della Chiesa, tutta intera vivente nella porzione a lei affidata. Dio si consegna all’apostolo attraverso la speciale chiamata a caricarsi del pondus ecclesiae. Abbiamo così pensato questa croce, disegnata e realizzata opportunamente per esplicarne il significato attraverso le forme dell’arte. Essa raffigura il mistero della croce in cui l’unità tra Dio è l’uomo è significata dalla consegna che il Padre fa del Figlio e dall’oblazione di Cristo al Padre. La Chiesa è l’indice di questo reciproco obliarsi nell’altro, perché la comunione che da essa scaturisce sia il dono di un amore costoso, il dono dello Spirito emesso dal Figlio nella Croce e dal Padre reso al Figlio nella sua glorificazione. L’ecclesiae unitatis pondus è dunque il nome dato a questa croce ed è ciò che questo dono ricorda come impulso di quella carità pastorale che la sua chiamata a essere membro del collegio apostolico prima, e adesso vincolato a Pietro nelle sue stesse catene dal nuovo legame da lui solennemente sancito, porta palesemente iscritto.
Il progetto di questa croce, un unicum nel suo genere, nasce dall’esigenza di illustrare il mistero della comunione ecclesiale che l’esercizio apostolico del ministero di unità garantisce e tutela. Nella sua composizione, la croce argentea bifronte, modulata secondo uno stile romanico ornato, scelto appositamente per indicare, secondo l’iconologia classica, la divinità di Cristo che a sé unisce la natura umana e la gloria del corpo del Risorto, sbalzata e cesellata secondo un disegno realizzato dalla Facoltà con la maestria artigianale della bottega del maestro argentiere Amato di Palermo, lascia risaltare in oro diciotto profili rotondi, nove su ciascun fronte, raffiguranti i relativi emblemi araldici delle diciotto diocesi dell’Isola, segnalati con l’incisione del nome latino delle diverse Chiese. Nella parte frontale, cinque medaglioni  raffigurano, al centro Palermo, la Chiesa da lei presieduta, e agli apici le arcidiocesi di Siracusa, Monreale, Agrigento e Messina. Gli altri profili contengono i simboli araldici delle diocesi suffraganee di Palermo, Cefalù, Mazara, Trapani e della sede eparchiale di Piana degli Albanesi, una volta annessa all’Arcidiocesi. Lo scudo dell’arcidiocesi di Catania si trova al centro del fronte a tergo. Attorno ad esso nelle estremità sono raffigurate le diocesi più antiche tra quelle della Sicilia orientale e attorno allo stemma di Catania le rimanenti: Acireale, Caltagirone, Caltanissetta, Nicosia, Noto, Patti, Piazza Armerina, Ragusa. La scelta di collocare sulla croce i simboli delle diverse Chiese ricorda anzitutto la corporeità mistica della Chiesa unita al Crocifisso Risorto nella diversità delle sue membra redente. Implica altresì il peso di quell’unità che il mistero della Croce compone e dispiega luminosamente come trofeo di vittoria sul peccato e la morte. Infatti la scelta di evidenziare in oro i distintivi delle Chiese esprime la regalità della Chiesa e del suo Capo, il Sacerdote che sulla Croce si è immolato come vittima, per acquistare e riunire con il prezzo del suo sangue il popolo di sua appartenenza. La simbologia della croce così pensata è appropriata al ruolo di Primate di Sicilia, che l’Arcivescovo di Palermo riveste per mandato. Il dono di questa croce rende visibile specialmente il legame che in qualità di Gran Cancelliere della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, voluta al servizio della Regione ecclesiastica di Sicilia, a noi la unisce nel comune sforzo di operare per il bene di tutta l’Isola, e principalmente per la salvaguardia del’unità armonica di tutte le Chiese, fondata sulla verità.
La croce argentea si presenta gemmata da pietre preziose provenienti dal territorio dell’Isola. Sulla parte frontale è decorata da cinque pietre di corallium rubrum siciliano. La provenienza geografica e la colorazione rossa delle gemme sono state appositamente scelte per significare le cinque piaghe del Signore. L’ansia pastorale si confronta con problematiche reali che vivono nella storia e fanno parte dell’identità del luogo che attende di essere illuminato con la forza del Vangelo. La Sicilia di oggi, piagata tuttora nel suo intimo dal mistero dell’iniquità, percepibile nelle forme dell’oppressione, della prevaricazione, della malversazione, della corruzione e della trascuratezza,  convive con Cristo il mistero della sua Passione. Più di ogni altro, il Vescovo vive nella sua carne il dolore di quelle piaghe salvifiche che il Divino Sammaritano compassionevolmente lenisce con l’olio della consolazione in quelli che incontra nel suo cammino. Le cinque gemme di corallo ricordano dunque il mistero di contraddizione con cui quotidianamente il ministero ecclesiale del Pastore si confronta perché l’unità della Chiesa sia resa efficace in essa e attraverso di essa nel mondo. A tergo altre cinque gemme di colore opalescente, pietre di agata dell’Etna, ricordano con la loro tonalità verde  le speranze e le risorse che la Chiesa siciliana conserva preziosamente nel suo seno. Anche in questo caso si è voluto scegliere pietre che fossero legate alla nostra Isola. Il ministero di unità si dispiega principalmente nell’armonizzazione di quelle risorse carismatiche, doni principalmente personali, che lo Spirito traduce mediante il discernimento dei Pastori in ministeri per l’edificazione del corpo ecclesiale. La Sicilia è terra benedetta largamente dal Signore con speciale predilezione. In queste pietre viene simbolizzata la ricchezze dei doni di santità, di carità, di intelligenza, di lealtà e di devozione che caratterizza il nostro popolo cristiano.
Due altri motivi simbolici corredano e rendono compiuto il progetto di questa croce: l’aquila raffigurante simbolicamente l’evangelista Giovanni e l’acronimo mariano. Certamente essi possono presto essere ricondotti, il primo, alla Facoltà, che porta il nome dell’Evangelista, che come aquila fissa il sole del mistero della divinità con i suoi occhi, e il secondo alla figura mariana della Chiesa. In effetti in questo contesto questi simboli sono reminiscenti di due di quei tre principi che, secondo la felice meditazione del teologo H. U. von Balthasar, compongono nel loro insieme, e mai senza gli altri, il mistero della costituzione della Chiesa. La Chiesa fondata sul principio petrino, al quale la sua persona è stata unita nella sua nuova veste cardinalizia, principio che valorizza la dimensione istituzionale, apostolica di guida e di magistero, cresce anche attraverso il suo principio giovanneo, raffigurato dall’aquila, nella dimensione dell’amore e della comunione, del legame intimo e della gratuità reciproca, significati dal discepolo amato dal Signore e dal suo rapporto con lui. E si completa nel principio mariano il quale esprime il vincolo sponsale e materno che tesse i rapporti dentro la Chiesa, e trova nella rigenerazione battesimale e nella sinassi mistica dell’eucaristia il modo con cui è fecondato e nutrito il corpo del Signore che è la Chiesa.
Non so se portando questa croce sarà necessario ricordare le nozioni che la sua iconografia presume, piuttosto, essendo una croce pettorale, il nostro augurio è che porti la nostra comunità e il suo lavoro sul suo petto, ricordando la nostra quotidiana fatica come una maniera di aiutarla a portare il dolce unitatis ecclesiae pondus.L’augurio dei docenti, degli allievi e del personale sono tutti racchiusi in questo segno di speranza, di amore e di fedeltà.
Ad multos annos! 
Palermo, 15 dicembre 2010                                                              La Comunità Accademica